Obama e i militari

[ Politiquement... ]

 

L' ultima battaglia di Obama

La rimozione di McCrystal segna una svolta definitiva nelle idee di guerra del presidente, passato dall'anti-militarismo ai tempe dell'università al sostegno alla dottrina della contro-insurrezione firmata Petraeus.

Subito i primi cambiamenti: il 2011 non 1e più considerato la data definitiva del ritiro.

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NEW YORK La mattina del 10 marzo 1983 un giovane studente di legge scese di corsa le tre rampe di scale dell' appartamento da 360 dollari al mese al 142 West della 109esima strada, angolo Amsterdam Avenue, e si catapultò all' appuntamento con la storia. Varcata la soglia del campus puntò sulla libreria, si procurò una copia di Sundial, uno dei giornaletti della Columbia, e declamò a mente il titolo del pezzo che aveva scritto e gli avevano pubblicato: "Spezzare la mentalità di guerra". Quello studente era Barack Obama. Il piccolo saggio di antimilitarismo dottoreggiava sulla vicenda dei missili Pershing e Cruise. (segue dalla copertina) Ma si distingueva soprattutto per una citazione, «Tutti chiedono pace ma nessuno chiede giustizia», verso tratto da una canzone di Peter Tosh, idolo reggae più noto per le canne che per gli studi strategici. La sera di martedì 22 giugno 2010, il portavoce Robert Gibbs salì di corsa le scale che portano al secondo piano della Casa Bianca, bussò discretamente alla Residenza presidenziale e allungò al presidente una copia di Rolling Stone. L' occhio forse si sarebbe voluto posare più volentieri su Lady GaGa seminuda in copertina: invece dovette passare subito alle parole dure che gli rivolgeva il generale Stanley McChrystal, l' uomo che aveva scelto appena un anno prima per vincere la "sua" guerra in Afghanistan. A Barack Obama è bastata la lettura di poche righe per decidere la sorte del generale ribelle. E la motivazione che il giorno dopo ha fornito davanti al mondo è lontana anni luce dalle spensierate riflessioni giovanili. Una guerra è più grande di qualsiasi uomo: la nostra democrazia posa su istituzioni più forti dei singoli individui e il rispetto della catena di comando include «il controllo dei civili» sul potere militare. La dichiarazione di guerra allo strapotere delle stellette è solo l' ultimo atto del lungo cammino di Barack Obama. Ricordate quando in campagna elettorale il suo rivale, il veterano del Vietnam John McCain, ironizzava sulla sua mancanza di training militare? Beh, quel «ragazzo inesperto», come lo aveva definito Dick Cheney, nel giro di un anno e mezzo ha fatto fuori già quattro soldatini. Il consigliere militare della Casa Bianca, generale Gregory Craig. Il direttore della National Intelligence, ammiraglio Dennis C. Blair. Il predecessore di McChrystal, generale David D. McKiernan. E ora, appunto, il fedifrago Stanley. Un bel poker per un presidente che gli avversari accusano di poco decisionismo. Il problema che la cacciata di MChrystal ha messo a fuoco è però un altro: non basta allontanare, bisogna anche saper pescare le persone giuste. E qui apriti cielo. Prendete l' ultima pesca: quel David Petraeus che viene considerato il miglior soldato dell' impero. La mossaè stata applaudita persino da un critico severo come Mark Helperin, il reporter che in "Game Change" ha svelato i retroscena più imbarazzanti della campagna presidenziale. Petraeus, certo, è l' uomo che ha disegnato quella «contro-insurrezione» che ha funzionato in Iraq e che McChrystal stava attuando in Afghanistan: quindi la scelta strategicamente più logica. Peccato che Petraeus sia anche il soldato che aveva giurato fedeltà a George W. Bush e che in tanti continuano a sospettare di velleità presidenziali. Ieri, poi, Obamaè sembrato quasi sposare la tesi del suo nuovo comandante, invece di guidarlo, quando ha detto che la data per l' inizio del ritiro, luglio 2011, è solo «l' inizio di una fase di transizione»: non è che gli americani «spengono la lucee si chiudono la porta dietro». O prendete l' uomo da cui tutti i generali dipendono: il capo del Pentagono Robert Gates. E' stato l' unico in queste ore a battersi perché McChrystal - che lui stesso aveva suggerito al presidente - restasse al suo posto in nome della «continuità» che va assicurata alla guerra. Ma proprio in nome di quella continuità lo stesso Gates, che al Pentagono fu scelto sempre da Bush, si trova nel posto dove gli elettori di Obama avrebbero preferito magari un signore che non avesse condiviso da capo della Cia e da ministro della Difesa le torture in nome della guerra al terrorismo. Ma chi consiglia il Comandante in Capo? Time sollevò mille perplessità quando Obama annunciò la nomina di James Jones a Consigliere per la Sicurezza. Jones era stato il capo dei marine lanciati a quella conquista dell' Iraq contro cui Barack si era scagliato. E soprattutto Jones - come la maggior parte delle stellette della nazione - era per Barack un perfetto sconosciuto, incontrato solo un paio di volte grazie all' intercessione di Mark Lippert, un ufficiale che è stato tra i più ascoltati suggeritori prima di fare i bagagli e tornarsene in Marina. A Washington sussurrano che la prima preoccupazione di Obama arrivato alla Casa Bianca è stata quella di scrollarsi di dosso l' immagine antimilitarista che spuntava dai giornaletti universitari. Già durante la campagna elettorale aveva cercato di ricostruirsi una verginità. Per esempio confessando all' Abc che finita la scuola aveva persino pensato di entrare nell' esercito: «Pensavo che quella militare potesse essere una scelta dignitosa. Però era già il 1979, la guerra del Vietnam era finita da un pezzo» e insieme alla guerra la leva obbligatoria. Così passò oltre. La mancanza di un curriculum militare l' ha portato a compiere anche un paio di gaffe. «Mio nonno aveva marciato nell' esercito del Generale Patton ma io non posso sapere, come molti di voi, che cosa significa stare in battaglia». Il piccolo particolare è che non poteva saperlo neppure suo nonno che mai era stato dispiegato in guerra. Un' altra volta gli è andata peggio. «Un mio prozio - disse - fu tra i primi soldati ad arrivare ad Auschwitz». Non si capisce come poteva farlo, gli rispose un deputato repubblicano, a meno che non marciasse con l' esercito russo. Dovette intervenire il suo ufficio stampa: voleva dire Buchenwald. La scommessa sul nuovo comandante in Afghanistan rilancia adesso la partita a distanza. Ma c' è chi giura che il prossimo scontro è soltanto rinviato. Da Peter Tosh a David Petraeus, Obama è passato dall' antimilitarismo alla condivisione di quella contro-insurrezione che tra gli stessi democratici ha tanti nemici, a cominciare dal suo vicepresidente, Joe Biden. Il succo è noto: non basta fare la guerra, bisogna costruire la fiducia della popolazione, servono strade e ponti e governi efficienti che possano insidiare il consenso che hanno gli i radicali dall' Iraq all' Afghanistan. I critici più severi dicono che la "Dottrina Petraeus" in realtà è servita a fornire al Pentagono un alibi per fare salire le spese di guerra e ricostruzione. Ma c' è chi dubita anche della sua efficacia. Un tifoso del presidente come Seymour Hersh, mitico reporter, dice che purtroppo «i militari controllano Obama sulle questioni più importanti: Iran, Iraq, Afghanistan e Pakistan» e che lui sta seguendo appunto «la politica di Bush e Cheney». L' Iraq rappacificato da Petraeus? Ora è sull' orlo della guerra civile. L' Afghanistan? L' unica soluzione sarebbe un accordo con i Taliban e l' unica persona che potrebbe farlo è il mullah Omar, che per gli americani è però diventato un altro Hitler. Che l' Afghanistan sia un pasticcio l' ha riconosciuto anche una generale.E che generale. «Non crediate che l' Afghanistan possa mai diventare la nuova Svizzera». Sapete chi parlò così? David McKiernan, il comandante che l' anno scorso Obama cacciò per mettere al suo posto McChrystal. E sapete a chi fece questa rivelazione? A Michael Hastings: un reporter che allora scriveva per Esquire e oggi per Rolling Stone ha raccontato i dolori del vecchio Stanley. La storia si ripete: vuoi vedere che al presidente toccherà tornare a Peter Tosh?

- DAL NOSTRO INVIATO ANGELO AQUARO


 

Il Presidente e il suo generale/1

NEW YORK La mattina del 10 marzo 1983 un giovane studente di legge scese di corsa le tre rampe di scale dell'appartamento da 360 dollari al mese al 142 West della 109esima strada, angolo Amsterdam Avenue, e si catapultò all'appuntamento con la storia. Varcata la soglia del campus puntò sulla libreria, si procurò una copia di Sundial, uno dei giornaletti della Columbia, e declamò a mente il titolo del pezzo che aveva scritto e gli avevano pubblicato: "Spezzare la mentalità di guerra". Quello studente era Barack Obama. Il piccolo saggio di antimilitarismo dottoreggiava sulla vicenda dei missili Pershing e Cruise. (segue dalla copertina) Ma si distingueva soprattutto per una citazione, «Tutti chiedono pace ma nessuno chiede giustizia», verso tratto da una canzone di Peter Tosh, idolo reggae più noto per le canne che per gli studi strategici. La sera di martedì 22 giugno 2010, il portavoce Robert Gibbs salì di corsa le scale che portano al secondo piano della Casa Bianca, bussò discretamente alla Residenza presidenziale e allungò al presidente una copia di Rolling Stone. L'occhio forse si sarebbe voluto posare più volentieri su Lady GaGa seminuda in copertina: invece dovette passare subito alle parole dure che gli rivolgeva il generale Stanley McChrystal, l'uomo che aveva scelto appena un anno prima per vincere la "sua" guerra in Afghanistan. A Barack Obama è bastata la lettura di poche righe per decidere la sorte del generale ribelle. E la motivazione che il giorno dopo ha fornito davanti al mondo è lontana anni luce dalle spensierate riflessioni giovanili. Una guerra è più grande di qualsiasi uomo: la nostra democrazia posa su istituzioni più forti dei singoli individui e il rispetto della catena di comando include «il controllo dei civili» sul potere militare. La dichiarazione di guerra allo strapotere delle stellette è solo l'ultimo atto del lungo cammino di Barack Obama. Ricordate quando in campagna elettorale il suo rivale, il veterano del Vietnam John McCain, ironizzava sulla sua mancanza di training militare? Beh, quel «ragazzo inesperto», come lo aveva definito Dick Cheney, nel giro di un anno e mezzo ha fatto fuori già quattro soldatini. Il consigliere militare della Casa Bianca, generale Gregory Craig. Il direttore della National Intelligence, ammiraglio Dennis C. Blair. Il predecessore di McChrystal, generale David D. McKiernan. E ora, appunto, il fedifrago Stanley. Un bel poker per un presidente che gli avversari accusano di poco decisionismo. Il problema che la cacciata di MChrystal ha messo a fuoco è però un altro: non basta allontanare, bisogna anche saper pescare le persone giuste. E qui apriti cielo. Prendete l'ultima pesca: quel David Petraeus che viene considerato il miglior soldato dell'impero. La mossaè stata applaudita persino da un critico severo come Mark Helperin, il reporter che in "Game Change" ha svelato i retroscena più imbarazzanti della campagna presidenziale. Petraeus, certo, è l'uomo che ha disegnato quella «contro-insurrezione» che ha funzionato in Iraq e che McChrystal stava attuando in Afghanistan: quindi la scelta strategicamente più logica. Peccato che Petraeus sia anche il soldato che aveva giurato fedeltà a George W. Bush e che in tanti continuano a sospettare di velleità presidenziali. Ieri, poi, Obamaè sembrato quasi sposare la tesi del suo nuovo comandante, invece di guidarlo, quando ha detto che la data per l'inizio del ritiro, luglio 2011, è solo «l'inizio di una fase di transizione»: non è che gli americani «spengono la lucee si chiudono la porta dietro». O prendete l'uomo da cui tutti i generali dipendono: il capo del Pentagono Robert Gates. E' stato l'unico in queste ore a battersi perché McChrystal - che lui stesso aveva suggerito al presidente - restasse al suo posto in nome della «continuità» che va assicurata alla guerra. Ma proprio in nome di quella continuità lo stesso Gates, che al Pentagono fu scelto sempre da Bush, si trova nel posto dove gli elettori di Obama avrebbero preferito magari un signore che non avesse condiviso da capo della Cia e da ministro della Difesa le torture in nome della guerra al terrorismo. Ma chi consiglia il Comandante in Capo? Time sollevò mille perplessità quando Obama annunciò la nomina di James Jones a Consigliere per la Sicurezza. Jones era stato il capo dei marine lanciati a quella conquista dell'Iraq contro cui Barack si era scagliato. E soprattutto Jones - come la maggior parte delle stellette della nazione - era per Barack un perfetto sconosciuto, incontrato solo un paio di volte grazie all'intercessione di Mark Lippert, un ufficiale che è stato tra i più ascoltati suggeritori prima di fare i bagagli e tornarsene in Marina. A Washington sussurrano che la prima preoccupazione di Obama arrivato alla Casa Bianca è stata quella di scrollarsi di dosso l'immagine antimilitarista che spuntava dai giornaletti universitari. Già durante la campagna elettorale aveva cercato di ricostruirsi una verginità. Per esempio confessando all' Abc che finita la scuola aveva persino pensato di entrare nell'esercito: «Pensavo che quella militare potesse essere una scelta dignitosa. Però era già il 1979, la guerra del Vietnam era finita da un pezzo» e insieme alla guerra la leva obbligatoria. Così passò oltre. La mancanza di un curriculum militare l'ha portato a compiere anche un paio di gaffe. «Mio nonno aveva marciato nell'esercito del Generale Patton ma io non posso sapere, come molti di voi, che cosa significa stare in battaglia». Il piccolo particolare è che non poteva saperlo neppure suo nonno che mai era stato dispiegato in guerra. Un'altra volta gli è andata peggio. «Un mio prozio - disse - fu tra i primi soldati ad arrivare ad Auschwitz». Non si capisce come poteva farlo, gli rispose un deputato repubblicano, a meno che non marciasse con l'esercito russo. Dovette intervenire il suo ufficio stampa: voleva dire Buchenwald. La scommessa sul nuovo comandante in Afghanistan rilancia adesso la partita a distanza. Ma c'è chi giura che il prossimo scontro è soltanto rinviato. Da Peter Tosh a David Petraeus, Obama è passato dall'antimilitarismo alla condivisione di quella contro-insurrezione che tra gli stessi democratici ha tanti nemici, a cominciare dal suo vicepresidente, Joe Biden. Il succo è noto: non basta fare la guerra, bisogna costruire la fiducia della popolazione, servono strade e ponti e governi efficienti che possano insidiare il consenso che hanno gli i radicali dall'Iraq all'Afghanistan. I critici più severi dicono che la "Dottrina Petraeus" in realtà è servita a fornire al Pentagono un alibi per fare salire le spese di guerra e ricostruzione. Ma c'è chi dubita anche della sua efficacia. Un tifoso del presidente come Seymour Hersh, mitico reporter, dice che purtroppo «i militari controllano Obama sulle questioni più importanti: Iran, Iraq, Afghanistan e Pakistan» e che lui sta seguendo appunto «la politica di Bush e Cheney». L'Iraq rappacificato da Petraeus? Ora è sull'orlo della guerra civile. L'Afghanistan? L'unica soluzione sarebbe un accordo con i Taliban e l'unica persona che potrebbe farlo è il mullah Omar, che per gli americani è però diventato un altro Hitler. Che l'Afghanistan sia un pasticcio l'ha riconosciuto anche una generale.E che generale. «Non crediate che l'Afghanistan possa mai diventare la nuova Svizzera». Sapete chi parlò così? David McKiernan, il comandante che l'anno scorso Obama cacciò per mettere al suo posto McChrystal. E sapete a chi fece questa rivelazione? A Michael Hastings: un reporter che allora scriveva per Esquire e oggi per Rolling Stone ha raccontato i dolori del vecchio Stanley. La storia si ripete: vuoi vedere che al presidente toccherà tornare a Peter Tosh?

- DAL NOSTRO INVIATO ANGELO AQUARO


 

Il Presidente e il suo generale/2

Il conflitto tra civili e militari ai massimi livelli del governo - finito sotto gli occhi di tutti in questi giorni con il comportamento poco rispettoso del generale Stanley McChrystal nei confronti della Casa Bianca e la decisione del Presidente Obama di sollevarlo dal suo incarico - è un vecchio problema nella storia americana. Sul tema la costituzione americana non potrebbe essere più chiara: mette un civile- il presidente- come comandante in capo delle forze armate proprio per evitare possibili equivoci sulla catena di comando. Eppure allo stesso tempoi militari godono da sempre nella vita pubblica di uno status speciale, un ascendente particolare, un rispetto quasi mistico, che nei fatti si è tradotto in potere politico. (segue dalla copertina) Non è un caso che il primo presidente degli Stati Uniti, George Washington, sia stato anche il generale che aveva guidato le truppe durante la rivoluzione contro la Gran Bretagna. Nel primo secolo della nostra storia ben 11 presidenti sono stati generali. Questo è vero soprattutto per l'epoca pre-televisiva e in particolare per l'800, con l'ascesa della democrazia popolare: l'eroismo militare era un sostituto per il carisma telegenico.I primi presidenti americani erano degli "aristocratici" scelti dall'élite del paese prima della formazione di partiti politici moderni: Andrew Jackson, un ex-generale eletto nel 1829, fu il primo presidente arrivato al potere dal basso, grazie al sostegno popolare. Fra il 1829 e il 1889, ben 10 presidenti su 16 furono ex-generali. Eppure nella più grande prova militare e politica nella storia americana, fu un civile, Abraham Lincoln, a guidare il governo: gestire la Guerra Civile comportò per lui un mare di guai. I migliori militari erano con la Confederazione degli Stati del Sud (grazie alla tradizione militare molto diffusa negli stati meridionali) e nel Nord Lincoln era a corto di buoni generali. Per tre anni fu costretto a sopportare il generale George McClellan, un buon organizzatore di truppe ma un militare molto cauto che esitava ad attaccare le truppe del Sud nonostante una superiorità numerica del Nord. McClellan non esitava a ridicolizzare Lincoln, chiamandolo di fronte ai suoi amici "gorilla" e "babbuino": commenti molto simili, se non peggiori, rispetto a quelli fatti da McChrystal nei confronti di Obama e la sua Amministrazione. Una volta, McClellan fece aspettare Lincoln per un'ora in albergo e poi gli mandò a dire che era andato a letto. Quando i consiglieri del presidente lo incoraggiavano a liquidare McClellan, Lincoln rispondeva: «Per sostituirlo con chi?». Dopo il siluramento, McClellan si presentò alle presidenziali come candidato democratico, sfidando Lincoln e promettendo di far uscire il Nord dalla guerra. La campagna fallì, ma il generale rappresentò una seria minaccia per Lincoln. Il presidente trovò finalmente il suo generale in Ulysses S. Grant, il quale riprese l'offensiva contro il Sud. Quando alcune persone della cerchia di Lincoln protestavano perchè Grant beveva troppo, il presidente rispondeva: «Fatemi sapere che marca di whisky beve e ne manderò una cassa a tutti i miei generali!». Forse la più grande sfida dei generali ai civili dopo l'epoca di Lincoln fu quella del generale Douglas MacArthur durante la guerra di Corea. Andando contro gli ordini del presidente Harry Truman, MacArthur condusse un'offensiva in Corea sopra il 38esimo parallelo, scatenando la risposta dei comunisti cinesi, allargando la guerra e complicando la situazione militare-politica. Truman licenziò MacArthur immediatamente. Prima di essere cacciato, MacArthur sembrava corteggiare l'opinione pubblica: atterrava con il suo aereo proveniente dal Pacifico in Californiae da lì viaggiava lentamente in treno verso Washington, fermandosi davanti a folle enormi ad ogni tappa. Ma alla fine Truman vinse e stabilì chiaramente il principio per cui il presidente civile ha l'ultima parola sui suoi generali. L'ultimo presidente-generale fu Dwight Eisenhower, coordinatore delle Forze alleate durante la Seconda Guerra Mondiale, il quale però diede l'addio alla politica denunciando l'esistenza di «un complesso militare-industriale», un intreccio di interessi tra il Pentagono e la grande industria militare, che minacciava di prendere controllo della politica estera. Poi vennero la Guerra Freddae il Vietnam e si innescò una dinamica pericolosa: i repubblicani furono identificati come il partito dei falchi e dei militari,i democratici come quello della pacee degli anti-militari. Un elemento quest'ultimo che rende ancora più delicata la posizione di presidenti democratici come Bill Clinton e Barack Obama, che non hanno fatto il servizio militare. Il dilemma di fronte a cui si è trovato Obama è stato un mix fra i problemi che dovette fronteggiare Lincoln e quelli di Truman. Il comportamento di McChrystal non si può chiamare aperta insubordinazione come nel caso di MacArhtur: piuttostoè simile al comportamento dispettoso di McClellan. Ma la condotta del generale minacciava di compromettere la politica della Casa Bianca in Afghanistan, già in crisi. Obama non ha come Lincoln il problema di non avere altri generali. Ma Lincoln aveva un vantaggio sull'attuale presidente: un obiettivo politico-militare chiaro e realizzabile, la sconfitta militare del Sud e la restaurazione di un potere centrale nel paese. Il problema più grande di Obama nonè legato alle persone:è piuttosto l'assenza di una politica chiara. Sconfiggere i Taliban? Distruggere Al Qaeda? Creare una democrazia stabile? Ritirarsi in ogni caso l'anno prossimo? -

ALEXANDER STILLE








 

 

© F. S.   || 4.09. 2009